La permanenza a Loreto non si rivelò soddisfacente, dato che le autorità borghigiane furono molto attente a limitare lo spazio d’azione dei confratelli, che pure dotarono la chiesina di un portico coperto da una sala di riunioni e preghiera (1623-35). Visto il forte desiderio di completa autonomia, i confratelli nel 1639 decisero di costruire una propria chiesa nella contrada di Nassa. Trovato un terreno adatto, arrivarono a tetto nel 1642. A quel momento la chiesa poteva sembrare una sorta di semplice “capannone”. Per questa ragione ben presto iniziarono notevoli lavori di abbellimento: nel 1644 si costruì la volta e poco dopo si intraprese una ricca decorazione in stucco, i cui costi causarono anche alcuni dissapori e difficoltà finanziarie, come attestano le cronache del tempo, stese con dovizia di particolari dall’allora cancelliere Gabriele Gallio. Nel 1659 i confratelli poterono ampliare la loro proprietà acquistando il terreno posto dietro la chiesa per edificarvi il coro dei confratelli e una grande sacrestia con alcuni locali annessi. Con il tempo vennero aggiunti un campanile (1661, poi alzato nel 1757) e alcune cappelle laterali. Queste ultime attestano anche lo sviluppo di nuove devozioni accanto a quella per S. Carlo. Così nel 1652-56 fu acquistata la statua della Madonna della Cintura, che nel 1662 portò alla fondazione di una seconda confraternita (senz’abito) dedicata a questo titolo mariano. Nel 1722 seguì un’altra confraternita dedicata alla Madonna Addolorata. A queste si aggiunse una compagnia della Dottrina Cristiana, che dal 1679 venne a rafforzare l’offerta di insegnamento catechistico per i ragazzi e gli uomini di Lugano. Nel Settecento ebbero particolare sviluppo le devozioni a S. Francesco Saverio (a cui si dedicò un altare laterale) e a S. Nicola da Tolentino. Particolare rilievo ebbe anche la sottolineatura della Novena di Natale, con appositi libretti a stampa. Proprio la notevole attività festiva della chiesa attirò su S. Carlo l’attenzione di molti devoti, che valsero alla confraternita grande stabilità finanziaria e due grosse eredità (lasciate da Giovan Battista Laghi, 1676, e dal già cappellano Giovanni Francesco Scarlioni, 1703). Questi legati portarono ad aumentare ancora il forte numero di messe celebrate. Il forte radicamento della confraternita ebbe conseguenze anche sul numero di confratelli, stabile per lungo tempo. La compagnia comprese tanto i rappresentanti delle grandi famiglie soprattutto mercantili del borgo (che de facto monopolizzarono le cariche interne e l’amministrazione), quanto molti iscritti di condizioni modeste, immigrati da pochi anni a Lugano o residenti fuori borgo (come diversi calderai dalla Val Colla). La confraternita per molti membri significava sostegno caritativo in vita e in morte e un luogo in cui si svilupparono intense amicizie.
Nel XX secolo, dopo un Ottocento privo di gravi inconvenienti, la confraternita conobbe un notevole calo nel reclutamento di nuovi membri, pur nascendo ancora nuove devozioni (come quella a S. Espedito, poi interdetta dalla Curia). Essa ebbe comunque ancora la forza, negli anni dell’immediato dopoguerra, per opporsi ai progetti di mons. Jelmini, che nel 1946 propose di vendere la chiesa e usarne il ricavo per la costruzione del tempio votivo dedicato a S. Nicolao a Besso. L’opposizione dei confratelli e di altri fedeli luganesi fece desistere il presule dai suoi progetti. La confraternita volle comunque aiutare l’edificazione della nuova chiesa vendendo l’area occupata dalle cappelle laterali e una parte dei locali sopra la sacrestia.
Dagli anni 1960-70 la compagnia devota de facto si ridusse a un ente fabbricerale guidato dal priore avv. Lorenzo Gilardoni, che per quasi mezzo secolo ha curato la gestione dell’edificio di culto, promuovendo importanti restauri fin dagli anni 1960 e poi ancora a fine secolo. Alla scomparsa dello storico priore, nel 2011, un gruppo di fedeli luganesi e non solo decise di far ripartire la confraternita di S. Carlo, che ha conosciuto un nuovo importante inizio. La rinnovata compagnia ha anche deciso di rivedere la propria storica divisa, adottando un mantello rosso in luogo dell’antico abito bianco con mantelletta rossa, ormai dismesso da quasi un secolo.
Davide Adamoli